Call for paper – numero speciale ASUR

Pianificazione e città multiculturali

a cura di: Adriano Cancellieri, Giovanna Marconi, Mirko Marzadro, Elena Ostanel

Il rapido aumento dell’immigrazione in Italia negli ultimi due decenni ha fortemente contribuito a rendere le società urbane sempre più plurali ed al conseguente moltiplicarsi delle “domande di città”. Oggi più che mai in gran parte delle aree urbane italiane, grandi o piccole che siano, convivono o anche solo coesistono persone con idee, storie, bisogni e modi di vita differenti che si traducono in diverse e contrastanti pratiche di produzione, uso ed appropriazione di spazi e luoghi. Un’incessante “cacofonia di discorsi” (A. Amin, N. Thrift. 2002. Città: ripensare la dimensione urbana. Bologna: Il Mulino, p. 127) che trasforma profondamente il tessuto urbano. Parafrasando Sayad (2008. L’immigrazione o I paradossi dell’alterità. L’illusione del provvisorio. Verona: Ombre Corte) il quale sostiene che l’immigrazione sia ‘un fatto sociale totale’, si può affermare che essa sia ‘un fatto urbano totale’ perché coinvolge ogni ogni aspetto, ogni dimensione ed ogni rappresentazione dell’assetto sociale, spaziale, politico, culturale e religioso delle città.

I processi migratori internazionali rappresentano per la disciplina urbanistica una cartina di tornasole per osservare i fenomeni di pluralizzazione del territorio che contraddistinguono in termini sempre più significativi la città contemporanea. In particolare l’inserimento interstiziale degli immigrati in alcuni quartieri o parti delle città originariamente concepite per altre ‘tipologie’ di abitanti o usi diversi, forniscono l’ennesima dimostrazione del fallimento del paradigma modernista che trattava la città come fosse una macchina da ‘progettare’, disaggregandola nelle sue funzioni essenziali (casa, lavoro, tempo libero, mobilità) facilmente osservabili, predeterminabili e, previa standardizzazione, governabili. Un paradigma che, seppur già da tempo criticato o anche dichiarato fallito, continua a rimanere pesante eredità per la pianificazione urbana e territoriale che su di esso si è fondata.

Ne sono un esempio emblematico i tanti grandi edifici o complessi di edifici residenziali progettati e costruiti fra gli anni ’60 e ’70 secondo una precisa idea di città moderna e funzionalista ma interessati, solo un paio di decenni più tardi, da accelerati e imprevisti (in quanto imprevedibili) processi di turn over degli abitanti con una crescente concentrazione di residenti di nazionalità straniere. Dalla Cita a Marghera, al Complesso Serenissima a Padova (noto come ‘Via Anelli’), all’Hotel House di Porto Recanati al grattacielo di Ferrara, queste “Macchine per abitare” monumentali e olistiche che, come notava Donzelot (2006. Quand la ville se défait : Quelle politique face à la crise des banlieuesParis: Seuil), pretendevano di “fare società” soltanto attraverso la forza della loro concezione architettonica e non attraverso le pratiche di chi ci andava a vivere, sono oggi abitati da persone radicamente ‘differenti’ da quelle che, in fase di progetto, ci si aspettava li avrebbero popolati.

I grands ensembles densamente abitati sono sempre stati oggetto di dibattito per la loro presunta incapacità di favorire relazioni sociali e per la carenza di spazi collettivi adeguati. Ma uno sguardo più attento descrive spesso situazioni molto lontane da quest’immagine di anomia e svuotamento sociale. Gli studi empirici di questi anni hanno messo in luce esiti sociali inattesi: processi di addomesticamento dello spazio, forme nuove di home making, una pluralità di usi e sensi del luogo, nuove forme di transnazionalismo e di relazione tra locale/globale, oltre che conflittualità urbane e battaglie per il senso del luogo e forme di esclusione e (auto)segregazione urbana.

Allo stesso modo, il carattere sempre più plurale delle città riconfigura profondamente gli spazi pubblici, che sfuggono in modo forse anche più marcato di quelli abitativi alle logiche della pianificazione funzionalista. Già prima che l’immigrazione straniera diventasse un fenomeno rilevante per molte città italiane, accadeva di frequente che piazze e parchetti attrezzati della città pianificata secondo gli standard urbanistici, (ri)qualificati dal punto di vista edilizio e della forma urbana, risultassero tanto anonimi e asettici da essere poco frequentati mentre altri spazi – inaspettati, informali, improvvisati, spontanei – fossero pieni di vita. Nelle società urbane dove le differenze si vanno sempre più moltiplicando, sia la creazione di nuovi spazi pubblici sia l’uso, appropriazione e/o rivendicazione di quelli esistenti assumono caratteri ancor più complessi. L’aumento degli abitanti stranieri nelle città riporta bruscamente l’attenzione sul fatto che lo spazio pubblico non è dato ‘a priori’ ma piuttosto il risultato di sovrapposizioni e stratificazioni di status sociali, provenienze e identità diversificate che lo demarcano con sottili linee di confine, materiali o simboliche. Negli spazi pubblici – che si popolano di nuove tracce, segni e simboli interpretati diversamente a seconda di chi li osserva e da chi li produce e vive – le differenze diventano tangibili, in quanto visibili, quindi accade di frequente che in uno stesso spazio c’è chi si sente a casa e chi si sente straniero. Pensiamo agli spazi pubblici dei principali territori marcati dalla presenza migrante in questi anni, dove pratiche di “pianificazione insorgente” (Sandercock L. 2004. Verso Cosmopolis. Città Multiculturali e Pianificazione Urbana.Bari: Dedalo) e di resistenza ai modelli imposti, alla continua ricerca della vivibilità dei luoghi dimostrano l’esistenza di ‘domande di città’ ancora irrisolte e politiche urbane inattente alle profonde trasformazioni sociali e spaziali in atto.

Si invitano contributi che, riprendendo il tema classico della critica alla pianificazione e architettura modernista affrontandolo attraverso le nuove sfide poste dall’abitare degli immigrati, contengano ricerche empiriche e/o si interroghino sul ruolo della pianificazione come vincolo e come risorsa nel governo della città delle differenze.

Nello specifico, ci si aspetta che i testi

  • analizzino casi di concentrazione abitativa degli immigrati in grandi complessi edilizi o casi di produzione, uso e (ri)appropriazione degli spazi pubblici nelle città italiane, esaminando il significato delle poliedriche rifunzionalizzazioni di questi luoghi a fronte dell’aumento della multiculturalità e contestualizzando questi processi nelle più ampie trasformazioni urbane delle città
  • ragionino sul fallimento e sulla rigidità di un certo modo di vedere e progettare la città, e contribuiscano a ridefinire e riposizionare la pianificazione urbana partendo da mutati presupposti sociali, culturali e spaziali e dal moltiplicarsi di differenti ‘domande di città’ e richieste di ‘diritti’
  • riflettano sul nuovo ruolo che urbanisti e pianificatori potrebbero/dovrebbero assumere nel pensare e progettare città più inclusive, capaci di riconoscere, far incontrare e valorizzare le differenze.

I saggi di circa 50.000 battute (spazi inclusi) e corredati di abstract in italiano ed in inglese (di circa 500 battute ciascuno), e di parole chiave in italiano ed in inglese, entro il 31 luglio 2013 vanno caricati nel sito:http://www.francoangeli.it/riviste/sommario.asp?IDRivista=3&lingua=it.

 I saggi verranno sottoposti alla valutazione di referee anonimi e pubblicati in un numero monografico della rivista dedicato al tema.

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